Una piccola raccolta di storie di persone comuni, che si sono ammalate di azzardo compulsivo.
Le abbiamo raccolte e le condividiamo per far sapere di che cosa si parla quando si parla di azzardo patologico…
STORIA DI R
Sono 10 anni e 6 mesi che non gioco, ma non posso dire di essere un ex giocatore. Sono un giocatore che si trattiene.
Da ragazzino giocavo a beccaccino, scala quaranta, poker, canasta e canastone… erano giochi che duravano delle ore. Giocavamo tra amici, durante le feste, in attesa di andare a ballare… a quei tempi si iniziava a ballare alle 2 e mezzo del pomeriggio. Eravamo in quattro amici. Mettavamo fuori 100 lire, tra tutti! Ma quello era un bel giocare, era stare tra amici.
La mia caduta nel gioco è successa 14 anni fa, con le slot. La slot è quello che rovina completamente le persone. E’ iniziato per gioco: una mattina ero con un amico al bar a prendere il caffé. Essendoci le slot lì vicino, vedevamo altri che giocavano e abbiamo deciso di provare. Un euro, due euro… ed è finita lì.
Un giorno si è acceso un 50 euro. A quel punto ho pensato “Cacchio! Mi ha dato 50 euro. Se ogni tanto mi dà ancora 50 euro ho risolto la spesa per le sigarette, del caffé…” e allora da un euro diventano 2, diventano 5, diventano 10 e sempre aumentano… finché non sono stato più buono di smettere. E’ diventata una malattia. La sera quando rientravo a casa e mi ero giocato 100, 200, 500 euro, mi ripromettevo di non giocare più. Ma durante la notte – passavo delle notti infernali, senza dormire- pensavo sempre al gioco e a rifarmi.
Invece andavo sempre più giù, sempre più giù, sempre più giù. Mi ricordo che andavo in banca, prendevo soldi e poi li scambiavo in rotolini da 1 o 2 euro, arrivavo a giocare e li mettevo tutti nel vassoio che ti danno… poi quando sei lì non li conti, non ci stai dietro. Ti accorgi all’improvviso che ti rimangono una o due monete… a quel punto lì ti vengono i sudori… “speriamo che mi aiuti”… e invece no, non ti dà niente. Allora cosa fai? Hai qualcosa ancora, hai una banca vicino? Allora vai al bancomat e ritorni… Ricordo l’eccitazione, la rabbia, lo stare male… ricordo persone che davano i calci e i pugni alle macchinette, che gli urlavano contro…
La chiamo la scimmia, che mi porto dietro con lo zainetto ancora adesso. Io non gli devo dare da mangiare: se io gioco un euro o due in sala giochi… non ritorno più indietro. Io in 4 anni mi sono giocato 35/40.000 euro. Mi ritengo uno dei più fortunati perché ci sono persone che si sono giocati gli appartamenti, i palazzi…
Io ho avuto la fortuna di avere una figlia, che non abita qui in città. Sono vedovo. Si era accorta di un certo mio cambiamento. Dopo c’è stato qualcuno che le ha detto di nascosto da me che io giocavo. Allora ha fatto delle indagini, è andata in banca e un giorno mi ha detto “Noi dobbiamo parlare”. Sapete quando ti aspetti la secchiata d’acqua gelida? Subito ho capito che c’era qualcosa… e infatti. E’ venuta con un pacco così di estratti conto. C’erano tutti i prelievi che facevo con il bancomat. Era tipo una risma di carta. Allora a quel punto ho raccontato tutto, e mi sono dato una gran liberata.
Questo è successo il 2 aprile del 2010. Lei mi ha detto “tu devi andare da qualcuno perché ti devi curare”. Io ho detto che ce l’avrei fatta da solo. Ma facevo una gran fatica. Allora poi le ho detto “sì, io ho bisogno”. Per prima cosa siamo andati dalla mia dottoressa, che mi ha fatto fare tante analisi. Ero perfettamente a posto. Mia figlia ha trovato un’associazione, ha chiamato e siamo andati. Ci hanno accolti. Quella sera c’era una riunione congiunta tra gruppi di giocatori e gruppi di familiari. Eravamo tutti insieme. C’erano due giocatori, marito e moglie, che festeggiavano il primo anno di astensione.
Alla riunione gli anziani mi hanno dato del materiale informativo, poi quando hanno iniziato a parlare tutti, a fare le loro testimonianze, io sentivo che quelle persone erano uguali a me. Non ci crederete ma io da quella sera non ho più giocato. Io non ho più giocato!
Vado ancora agli incontri di gruppo, qui in città ce ne sono due di gruppi. E’ stato fondamentale. Mi hanno anche insegnato ad avere un potere superiore, quello su cui appoggia tutto. Uno può scegliere che sia la Madonna, un figlio… anche solo un gatto di casa. Il mio potere è mia figlia.
Mi ha aiutato tantissimo essere parte di un gruppo, essere in un contesto in cui mi capivano e in cui ho avuto un ruolo attivo, con incarichi tipo avere il telefono del gruppo, il vivandiere… In tutti i posti dove si gioca c’è un cartello con il nostro numero di telefono, che le persone che vogliono possono chiamare. E uno del gruppo lo tiene e risponde, è molto importante.
Il gruppo serve anche perché quando ti prende la voglia di andare a giocare, puoi chiamare una lista di telefoni. Parli 5 minuti e ti fanno passare la voglia di giocare. Perché è così, quando ti prende la voglia di giocare bisogna che ci sia qualche ostacolo. E qualcuno che ti faccia ragionare.
Il rimpianto maggiore è il tempo, non sono i soldi. Quelli non li recupero più. Certo, con dei sacrifici si può risparmiare per rientrare. Se hai le macchine e ti servono le gomme, quando giocavo non potevo pagarle perché spendevo tutto lì. Adesso se ho un imprevisto, riesco a pagarlo. Una volta no. Per me è inutile piangere sul passato: devo guardare avanti, e prendermi quello che è cambiato in meglio.
Le slot per me sono state studiate da psicologi e psichiatri: ci sono i colori, la musica, l’ambiente… condizionatori e tutto… niente luci… ti fissi talmente tanto fisso sulle macchinette che i soldi, quando li hai finiti, se hai il bancomat vai a prenderne altro. La macchinetta ti dà sempre l’impressione che stai per vincere, stai per vincere. “Orcamiseria, ci sono vicino, ci sono vicino…” e intanto spendi non so quanto.
Anche adesso devo sempre stare attento, è 10 anni che non gioco ma mi bastano 10 minuti per ricarderci.